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Calabria – Africo vecchio

Chiedo informazioni per arrivare a vedere le rovine di Africo Vecchio (RC), indicate sulla cartina e anche su wikimapia.org, ma non su google maps.

Un muratore: Africo? No, ma non ci si può mica andare, la strada è tutta rovinata, non si passa. Sali su al castello di Bova che è bello e panoramico, da lì farai foto bellissime.

Un barista: Si, c’è la strada, ma dovresti scendere giù ai Campi, poi diventa una strada sterrata e se non la conosci non ci arrivi mica: ti perdi. Oltretutto la strada a un certo punto finisce e te ne devi fare un pezzo a piedi.

Un avventore del bar: Ma con la macchina mica ci puoi andare. Ce l’hai una moto da cross?

Un sindaco: Mio fratello ogni tanto ci và perchè fa trekking ma con la macchina non la raggiungi mica. Poi sai com’è, magari qualcuno ci porta gli animali al pascolo e usa le case vecchie per metterci dentro qualcosa e cosa ne sai che pensano se ti vedono arrivare?

Un passante: Africo vecchio? Boh, sarà vicino ad Africo nuovo.

Alla fine non ci vado. Però sapevo che arrivarci è possibile, perchè qualcuno prima di me lo ha fatto e, per fortuna, ha fatto anche qualche foto. Che trovate qua: dattola.com/8125/africo-vecchio-provincia-rc-calabria

Calabria – Amendolea vecchia

Danneggiata da un terremoto ed in seguito da un’alluvione il borgo di Amendolea vecchia (RC), dove sorgeva anche il castello dei Ruffo, è stato abbandonato attorno agli anni ’50. Un nuovo insediamento, anch’esso oggi poco popolato, è sorto più in basso. Il paese antico è oggi un parco archeologico visitabile gratuitamente.

Nel visitarla una capra, lasciato il gregge, ha cominciato a seguirmi nelle rovine. Dopo avermi raggiunto, il pastore che la cercava, mi ha parlato un po’ del paese e offerto del vino da una bottiglia di plastica. Poi mi ha indicato i ruderi di un’antica cappella che mi sarebbe stato impossibile notare, fuori dal borgo, nascosta da una collinetta di sterpaglie e non indicata. Con ancora due affreschi che resistono alle intemperie.

 

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Lettera aperta ad un sindaco neo-eletto

Egr, [...]

Innanzi tutto voglio congratularmi con lei per lo straordinario successo ottenuto alle passate elezioni.
Segno indubbio della bontà del suo operato e della fiducia che molti cittadini ripongono in Lei.

Le scrivo perchè trovo significativa la sua vittoria nella città di [...], storicamente feudo della sinistra, soprattutto se messa in relazione alla sconfitta del partito di governo. Dico questo perchè voglio vedere nella sua vittoria, non tanto la vittoria del cittadino X sul cittadino Y, quanto piuttosto la vittoria di un movimento locale contro il PD. In quest'ottica infatti voglio riconoscere ai nostri concittadini la capacità che hanno avuto di evitare la trappola della vuota retorica del partito e di tutelarsi contro chi si sta distinguendo, in tutta Italia, come un'enorme macchina per l'assegnazione di grandi appalti per opere altamente impattanti quanto inutili e, più in generale, come un sistema verticistico e strettamente gerarchico.

Nel vuoto del sistema partitico italiano trovo di grande valore il suo risultato che è riuscito ad evitare le destre, il suddetto partito e i facili populismi a cinque stelle.

Senza entrare troppo approfonditamente nel merito le elenco in breve quali sono i principali appalti a cui mi riferisco. Naturalmente quando dico che il PD ha interessi in un determinato appalto mi riferisco o a lavori assegnati a costole dello stesso partito (Legacoop, CMC...) oppure a privati notoriamente sponsor o comunque vicini a suddetta area.

 Il partito democratico ha i suoi interessi nella realizzazione della seconda linea ad alta-velocità Torino-Lione (la prima, lo ricordo, è utilizzata solo al 30%).
Ha inoltre interessi nella realizzazione di altri tratti AV tra cui quello Bologna-Firenze.
Recentemente perfino renzi è arrivato ad ammettere le responsabilità del PD nella realizzazione del MOSE di Venezia.
E' implicato negli scandali dovuti all'assegnazione di appalti relativi ad EXPO 2015 Milano.

Anzichè continuare con gli esempi vorrei chiederle di vigilare sulla situazione in paese, poichè quello che viene applicato alla nazione viene riportato anche nel locale. La nostra zona ha una straordinaria vocazione naturalistica e architettonica che va preservata. Le voglio chiedere di esprimere subito un parere forte sulla volontà di bruciare rifiuti CSS nei forni delle cementerie. Le chiedo anche di prendere posizione sulla realizzazione della strada a scorrimento veloce che dovrebbe collegarci allo svincolo della superstrada (quando un altro collegamento veloce già esiste, dall'altro lato del paese...). Ho già avuto modo di scrivere la mia idea su queste due opere qui e non vorrei rubare altro spazio in questa sede.

Mi permetto solo di dirle che queste opere sarebbero oltremodo impattanti per l'ambiente, per l'aria che respiriamo (che già sfora i limiti consentiti del 90% ogni anno) e in generale per la dimensione archittetonica e paesaggistica del paese. Naturalmente la rinuncia ad alcune opere non può essere fatta senza un emancipazione da alcune parole d'ordine, ormai vuotate di significato, che sempre le accompagnano, come ad esempio "progresso"... E a questa riflessione va fatta seguire la consapevolezza di dover costruire e valorizzare un nuovo tipo di approccio al lavoro: la crisi ci ha insegnato che i cementifici seppure creano lavoro, creano del lavoro comunque incerto e che, in definitiva, tutti i lavori lo sono. Quindi vale la pena ripensare dove si vuol spostare l'ago della bilancia nel merito del rapporto con i cementifici della città.

Nell'ottica di un cambiamento tanto radicale di prospettiva, ne approfitto per darle solo un suggerimento valido come sperimentazione, in piccole aree, di processi volti ad aumentare il senso civico e la partecipazione: l'Autogestione. Incentivi l'individuazione di aree esterne o interne da far gestire direttamente ai cittadini, aree in cui si possa curare il verde, coltivare un orto, creare un ambiente per incontrarsi, creare street-art, ecc... E lasci, a chi prende l'incarico, la responsabilità di rispondere del risultato. Personalemente, lo trovo il miglior esercizio civico possibile.

Nel salutarla,
la ringrazio e le faccio i migliori auguri.

2 Marò e 4 NoTav: importanza e arbitrarietà del contesto

Il 22 febbraio c’è stata una giornata di mobilitazione nazionale notav. Il motivo è stato la richiesta di liberazione di 4 notav tuttora detenuti con la pesantissima accusa di terrorismo, a causa della quale alcuni di loro sono sottoposti a regime di alta sicurezza, in pratica isolamento. Possono passare fuori dalla cella solo 2 ore al giorno, mentre uno di loro, il più giovane, si trova in totale isolamento. Non possono vedersi tra di loro (tra l’altro sono stati delocalizzati in 3 carceri diverse). Qualsiasi messaggio di posta sia in entrata che in uscita è sottoposta e revisione e, eventualmnte, censura e per questo giunge comunque a destinazione con estrema lentezza. Ma cosa hanno fatto di preciso?

Nel caso, non confermato, in cui venissero riscontrati colpevoli (nel caso in cui… badate bene stiamo parlando di un’accusa) i 4 avrebbero tentato un’azione di sabotaggio al cantiere del tav di Chiomonte, tentativo nel quale è stato bruciato un compressore.

Il movimento notav, dichiaratamente contrario ad azioni di violenza contro uomini e donne, contro animali e che rechino danno alla natura, trova la forza di concepire, in qualche modo, al suo interno, che è possibile un’azione diretta contro il cantiere in questione. Che è leggittimato il sabotaggio. Sono processi mentali naturali nel momento in cui una popolazione finisce per non riconoscere più la sovranità dello stato nel suo territorio, a seguito di un uso e comportamento totalemente strumentale delle risorse, delle persone, ma anche delle aspirazioni e necessità stesse del territorio in questione da parte dello stato. Quando per un qualche calcolo nato al di fuori del territorio si decide di portare avanti un’idea come quella della Torino-Lione e si impone la stessa in maniera cieca a chi con quell’opera dovrà convivere, la reazione più naturale (nient’affatto auspicabile) è la creazione di una contrapposizione inconciliabile stato-cittadino. Il quale da quel momento giustificherà solo a sè stesso le proprie azioni.

Non ho intenzione di parlare in questa sede dell’assurdità dell’opera Torino-Lione, dell’inutilità, nè delle mire speculative che ci sono dietro. Voglio solo mettere in chiaro la posizione di frattura che in quel territorio lo stato italiano è riuscito a creare verso sè stesso, perchè quando un popolo perde ogni forma di sovranità e subisce la repressione delle proprie istanze comincia a vedersi come altro dallo stato. E si autoleggittima. O meglio: trova la forza per autoleggittimare le proprie azioni dirette. In questo contesto lo stato stesso giudica “terroristi” 4 ragazzi che hanno bruciato un compressore. Non per l’atto in sè (sarebbe ridicolo) ma per la palese frattura da sè stesso che testimoniano (danno di immagine agl’occhi dell’Europa, infatti, la motivazione).

In un periodo insomma in cui “ideologico” sembra esser divenuto un insulto (e ci tengo a dirlo: non lo è) viene fatta giustizia in maniera del tutto ideologica. A confermarlo in maniera del tutto sfacciata la vicenda dei Marò, di cui non è mia intenzione fare un riassunto (lo trovate qui). Mi basta rilevare che i due militari in questione sono accusati (sempre accusati, non condannati, come i 4 notav) dell’omicidio di due pescatori indiani.

Tralasciamo i particolari giuridici (visto che i due non sono mai passati per la giustizia italiana) consideriamo però le dichiarazioni di molti politici (non ultimo il neo-presidente del consiglio) e la maniera in cui il casò Enrica Lexie viene trattato dai media. E’ del tutto evidente che verso i due militari la macchina dello stato si muove in maniera sfacciatamente diversa. Se si brucia un compressore si è “terrorista” perchè si rovina l’immagine dell’Italia all’estero. Due omicidi che uccidono pescatori indiani disarmati invece sono “ragazzi da portare a casa”. Ci fanno fare una bella figura e ne dobbiamo essere orgogliosi.

D’altronde sono militari. E i pescatori erano due straccioni del terzo mondo. Quindi…

Vi lascio con la lettera dei genitori dei 4 notav in galera.

 

“In queste settimane avete sentito parlare di loro. Sono le persone arrestate il 9 dicembre con l’accusa, tutta da dimostrare, di aver assaltato il cantiere Tav di Chiomonte. In quell’assalto è stato danneggiato un compressore, non c’è stato un solo ferito. Ma l’accusa è di terrorismo perché “in quel contesto” e con le loro azioni presunte “avrebbero potuto” creare panico nella popolazione e un grave danno al Paese. Quale? Un danno d’immagine. Ripetiamo: d’immagine. L’accusa si basa sulla potenzialità di quei comportamenti, ma non esistendo nel nostro ordinamento il reato di terrorismo colposo, l’imputazione è quella di terrorismo vero e volontario. Quello, per intenderci, a cui la memoria di tutti corre spontanea: le stragi degli anni ’70 e ’80, le bombe sui treni e nelle piazze e, di recente, in aeroporti, metropolitane, grattacieli. Il terrorismo contro persone ignare e inconsapevoli, che uccideva, che, appunto, terrorizzava l’intera popolazione. Al contrario i nostri figli, fratelli, sorelle hanno sempre avuto rispetto della vita degli altri. Sono persone generose, hanno idee, vogliono un mondo migliore e lottano per averlo. Si sono battuti contro ogni forma di razzismo, denunciando gli orrori nei Cie, per cui oggi ci si indigna, prima ancora che li scoprissero organi di stampa e opinione pubblica. Hanno creato spazi e momenti di confronto. Hanno scelto di difendere la vita di un territorio, non di terrorizzarne la popolazione. Tutti i valsusini ve lo diranno, come stanno continuando a fare attraverso i loro siti. E’ forse questa la popolazione che sarebbe terrorizzata? E può un compressore incendiato creare un grave danno al Paese?

Le persone arrestate stanno pagando lo scotto di un Paese in crisi di credibilità. Ed ecco allora che diventano all’improvviso terroristi per danno d’immagine con le stesse pene, pesantissime, di chi ha ucciso, di chi voleva uccidere. E’ un passaggio inaccettabile in una democrazia. Se vincesse questa tesi, da domani, chiunque contesterà una scelta fatta dall’alto potrebbe essere accusato delle stesse cose perché, in teoria, potrebbe mettere in cattiva luce il Paese, potrebbe essere accusato di provocare, potenzialmente, un danno d’immagine. E’ la libertà di tutti che è in pericolo. E non è una libertà da dare per scontata.

Per il reato di terrorismo non sono previsti gli arresti domiciliari ma la detenzione in regime di alta sicurezza che comporta l’isolamento, due ore d’aria al giorno, quattro ore di colloqui al mese. Le lettere tutte controllate, inviate alla procura, protocollate, arrivano a loro e a noi con estrema lentezza, oppure non arrivano affatto. Ora sono stati trasferiti in un altro carcere di Alta Sorveglianza, lontano dalla loro città di origine. Una distanza che li separa ancora di più dagli affetti delle loro famiglie e dei loro cari, con ulteriori incomprensibili vessazioni come la sospensione dei colloqui, il divieto di incontro e in alcuni casi l’isolamento totale. Tutto questo prima ancora di un processo, perché sono “pericolosi” grazie a un’interpretazione giudiziaria che non trova riscontro nei fatti.

Questa lettera si rivolge:

Ai giornali, alle Tv, ai mass media, perché recuperino il loro compito di informare, perché valutino tutti gli aspetti, perché trobino il coraggio di indignarsi di fronte al paradosso di una persona che rischia una condanna durissima non per aver trucidato qualcuno ma perché, secondo l’accusa, avrebbe danneggiato una macchina o sarebbe stato presente quando è stato fatto.

Agli intellettuali, perché facciano sentire la loro voce. Perché agiscano prima che il nostro Paese diventi un posto invivibile in cui chi si oppone, chi pensa che una grande opera debba servire ai cittadini e non a racimolare qualche spicciolo dall’Ue, sia considerato una ricchezza e non un terrorista.

Alla società intera e in particolare alle famiglie come le nostre che stanno crescendo con grande preoccupazione e fatica i propri figli in questo Paese, insegnando loro a non voltare lo sguardo, a restare vicini a chi è nel giusto e ha bisogno di noi.

Grazie.”

 

Bastaunosparo

“Bastaunosparo” è naturalmente un richiamo all’opera Basta uno sparo di Wu Ming 2 e quindi vuol essere un omaggio alla memoria di Giorgio Marincola, partigiano italo-somalo, morto per mano nazista a guerra finita.

La sua storia si trova in Razza partigiana Carlo Costa, Lorenzo Teodonio (Iacobelli).

Nel Libro di Wu Ming 2 lo sparo a cui si allude è quello che uccide Giorgio Marincola e consegna alla memoria, e quindi alla nostra responsabilità, la storia di un partigiano dalla pelle scura. Un colpo mortale quindi che però diventa scintilla per una narrazione più potente del fatto in sè. La straordinarietà della vicenda del partigiano nero appare chiarissima oggi più che mai pensando ai mille conflitti legati in un modo o nell’altro al razzismo tra respingimenti alle frontiere, lager, discriminazione… Ecco dunque lo sparo da ricercare in ogni colpo esploso: non quello mortale che pare averci piegato per sempre, ma quello che segna l’inizio di una nuova marcia.

Qui sotto, da Basta uno sparo

“Val di Fiemme, 4 maggio 1945

C’è un cadavere nero, tra i cadaveri bianchi, dell’ultima strage
ma tu chiedi alla Storia chi è stato il primo a sparare
per trovare una colpa, per dare un motivo alla morte
chiedi invece alla Storia di quanti hanno tirato a campare
I nazisti hanno bruciato le case, hanno cavato gli occhi
trentacinque cadaveri bianchi e una pecora nera
ma di un drago ti pare scontato il fuoco e l’artiglio
vuoi sapere chi ha tagliato i ponti
d’oro al nemico.
Si sa che i preti devono avere una risposta per tutto
Si sa che i preti non amano dare la benedizione del dubbio
così ho trovato tra le carte del parroco un foglio volante
i cosiddetti partigiani, c’è scritto, hanno aperto le danze
e il drago ha ballato il suo valzer.
I cosiddetti partigiani, a chiamarli così, sono tutti uguali
Riboldi era tranviere, cinque anni di confino
perché sui tram di Milano
spacciava la rivoluzione dentro un volantino
Il Mando era operaio edile, poi l’hanno impiccato
Il Rella faceva l’alpino e ha disertato
Bruno Franch lo stesso, ma dall’esercito tedesco perché il padre aveva optato per Berlino
e quando hanno preso Tullio, nei boschi in val Cadino
non ha chiesto la grazia, non ha chiesto perdono.
Franz Kollman è fuggito
dal carcere a Belluno
Willie Wiens pare sia russo
ma di preciso non lo sa nessuno
c’è Tito il croato e ci sono pure due frati,
che non hanno il fucile ma lo stesso
moriranno deportati.
I cosiddetti partigiani, a chiamarli così, hanno lo stesso colore
ma basta una goccia e sono arcobaleno
basta uno sparo e nel bosco c’è persino
un cadavere nero.
L’autocolonna delle SS, dicono avesse
la bandiera bianca.
Si fermano, si arrendono, poi vedono un negro
e pensano all’onta nazionale
la Vergogna Nera, le truppe coloniali francesi che occupano la Renania
leggenda di contadine bionde stuprate, razza ariana violata
bestie, selvaggi, cannibali arruolati
per mangiare cadaveri
per ripulire le battaglie dall’odore di carogna.
Vedono un negro e sparano, si spara
Tu chiedi alla Storia chi è stato per primo
Io chiedo alla Storia una storia
C’è un cadavere nero, tra i cadaveri, dell’ultima strage.”

Wu Ming 2