Reportage Sardegna 2015 | Di muralismo e streetart. Di spopolamento e accoglienza.
Parte 3
A fora sas bases (slogan antimilitarista sardo)
“Sardigna natzione” e “A fora sas bases” sono le due scritte che più spesso si trovano sui muri dell’Isola. Sebbene la spinta antimilitarista non sia prerogativa dei movimenti separtisti, è pure vero che analizzare la presenza militare in Sardegna aiuta a comprendere meglio il punto di vista di quei sardi che vedono la loro terra come una colonia dello stato italiano.
In Gallura, solo nella zona di Palau (OT) si contano circa 20 aree militari in disuso tra basi, depositi e postazioni di comunicazione. Alcune abbandonate, altre restaurate e rese visitabili come strutture turistiche. (http://www.sardegnaabbandonata.it/fortezza-capo-dorso/). Sempre nei paraggi, nelle isole che circondano la Costa Smeralda, ci sono vari presidi NATO. A Tavolara c’è una postazione per le comunicazioni a grandissima distanza, a Santo Stefano un deposito munizioni e una base-appoggio per sommergibili nucleari, mentre una parte dell’isola della Maddalena è interdetta al pubblico (http://www.regione.sardegna.it/j/v/25?s=45581&v=2&c=3696&t=1). Nonostante nei giornali si sia parlato a più riprese di una dismissione delle attività militari e nonostante le navi da guerra non siano più attraccate nel porto in bellavista, come sono state per decenni, le basi restano comunque attive, con tanto di testate nucleari nei sommergibili.
Aree militari abbandonate si registrano in tutta l’isola. Quasi ogni promontorio e tutte le cime principali ospitano radar e sistemi di comunicazione (http://www.pane-rose.it/files/index.php?c3:o28436:e1). La base USAF abbandonata, sul Monte Limbara, usata dall’aviazione americana durante la Guerra fredda, testimonia l’importanza strategica dell’Isola. La presenza storica di contingenti stranieri è tuttora rilevante considerando che il poligono di Quirra, il più grande d’Europa, viene affittato agli eserciti che ne fanno richiesta per cifre che si aggirano attorno ai 50.000 euro l’ora. Presenza non sempre pacifica, come nel caso dei due caccia tedeschi che hanno mandato a fuoco 26 ettari di territorio attorno alla base militare di Capo Frasca, situata nel comune di Arbus (VS), il 26 agosto 2014 (http://contropiano.org/articoli/item/26170). Durante l’autunno 2015, invece, si è svolta, nella base militare di Capo Teulada, a Teulada (CA), la Trident Juncture, “la più estesa operazione NATO che si ricordi dalla caduta del Muro di Berlino” (definizione dello U.S. Army Europe). Entrambi gli avvenimenti hanno causato una forte opposizione popolare da parte del movimento antimilitarista, molto diffuso, che è riuscito in alcuni casi anche a bloccare le operazioni militari con le proprie iniziative. (http://contropiano.org/archivio-news/documenti/itemlist/tag/trident%20juncture)
Ma non è sicuramente dato solo dai contingenti stranieri il problema relativo alla presenza militare nell’Isola. La Sardegna è occupata militarmente per 35.000 ettari di terra mentre 20.000 chilomentri quadrati di mare sono interdetti alla navigazione e alla pesca a causa delle esercitazioni militari. Per avere un’idea delle proporzioni l’intera regione ha una superficie di circa 24.000 chilometri quadrati.
Le aree militari, soprattutto le tre basi principali, Teulada, Quirra e Capo Frasca, ma non solo, sono al centro di numerose indagini riguardanti reati ambientali, a causa delle sostanze chimiche contenute negli ordigni che vengono fatti esplodere. Sono acclarati casi di inquinamento che in molti casi hanno ripercussioni serie sulla salute delle persone che abitano nei territori limitrofi. In un caso specifico, quello del Poligono interforze del Salto di Quirra, a Perdasdefogu (OG) si è registrata una quantità di decessi per cause tumorali così alta e dalle caratteristiche inedite che ha portato, l’equipe medica che ha seguito il caso, a parlare di “Sindrome di Quirra”. Dalla procura della regione è stata aperta un’indagine perchè sono state usate nelle esercitazioni sostanze proibite come l’uranio impoverito e il torio radioattivo.
In ogni caso, ettari ed ettari di terreno vengono resi interdetti e usati per far brillare ordigni o per stipare materiale residuale tossico. La Sardegna, tra l’altro, anche a causa della sua conformazione geografica, è la regione individuata dallo stato italiano per lo stoccaggio di scorie nucleari, provenienti dall’estero. Dopo un lungo silenzio stampa, le fila politiche hanno rivelato nel 2016 di aver individuato un sito adatto allo scopo nel territorio di Ottana (NU), comune situato pressochè nel centro geografico della Sardegna, ma ben collegato. Quello che è urgente dire, rispetto a luoghi deputati alla sperimentazione militare o allo stoccaggio di materiale atomico, è che spesso non è possibile una bonifica nè un ripristino delle caratteristiche naturali del posto. La maggior parte delle volte l’ambiente contaminato rimane compromesso per generazioni.
Nel 2013, la Regione Sardegna ha commissionato a due ricercatori dell’università di Cagliari, Gianfranco Bottazzi e Giuseppe Puggioni, uno studio dal titolo “Comuni in estinzione” (http://www.sardegnaprogrammazione.it/documenti/35_84_20140120091324.pdf) in cui si evidenziano le criticità relative ad alcuni centri abitati che rischiano l’abbandono negli anni anni a venire. In particolare, utilizzando un metodo statistico applicato al calcolo demografico, 33 paesi vengono segnalati come prossimi al totale spopolamento. Sebbene le cause principali del fenomeno siano quelle note a tutti i casi simili (posizione geografica, mancanza di lavoro, mancanza di servizi…) si può notare, aiutandosi con una cartina geografica, che una gran parte di questi paesi si trova nel territorio circostante il poligono interforze di Quirra, il quale, non a caso, è stato situato in un luogo remoto, dalle caratteristiche semidesertiche e costellato di piccoli paesi, spesso isolati tra loro. In una panorama simile è molto difficile si possa creare un movimento d’opinione critico verso la presenza militare: la scarsità demografica e l’isolamento degli abitanti del posto, unite alla diffusa disoccupazione hanno fatto per anni percepire l’arrivo dei militari come una risorsa importante. D’altra parte poche altre opportunità di sviluppo sono state proposte in quei luoghi, che all’occhio si presentano come pianure di sabbia, canyon e speroni di roccia, intervallati da pochi paesi. I ripetuti casi di inquinamento di falde acquifere e di anomali decessi sia di bestiame che di umani hanno riportato all’attenzione generale le cause antimilitariste, al cui movimento si sono uniti numerosi allevatori e coltivatori locali. Citando il documento “Comuni in estinzione” però è forse possibile intravedere una possibilità: lo spopolamento di un paese infatti avviene solo “[…] ove nel corso del tempo non si presentino o non vengano posti in essere fatti, azioni, interventi, comportamenti sia in ambito locale che provenienti dall’esterno tali da poter invertire le tendenze riscontrate sulla base delle conoscenze attuali”.
Dal lato opposto dell’Isola rispetto a Quirra, a ridosso della base di Capo Frasca, sorge il paese di Sant’Antonio Santadì (VS) il quale avrebbe, per posizione geografica e potenzialità, una spiccata vocazione turistica, considerando che si trova tra la penisola del Sinis e la costa Verde, all’inizio di un lembo di terra che avrebbe lo stesso fascino di questi, se non fosse occupato per intero dalla base. Come è facile intuire la presenza militare ha pregiudicato notevolmente le potenzialità turistiche del luogo mentre le attività della base sono accusate di essere tra le principali cause di inquinamento, assieme agli stabilimenti industriali, delle periodiche morie di pesci, nelle vicine riserve ittiche.
La città di Macomer (NU) ha vissuto l’illusione di uno sviluppo spensierato grazie ai soldi portati in paese dai numerosi militari di leva che, fino a qualche anno fa, venivano qui a svolgere il loro servizio. Ora che le attività della caserma sono ridotte al minimo non è difficile, cammindando per il centro città, vedere saracinesche abbassate e negozi sfitti. Qualcuno, evidentemente in buona fede, deve aver pensato a risollevare le sorti economiche del paese ampliando l’inceneritore di Tossillo, zona industriale, per farlo diventare uno dei più grandi termovalorizzatori dell’Isola.
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