Reportage Sardegna 2015 | Di muralismo e streetart. Di spopolamento e accoglienza.
Parte 7
Non è tutto loro ciò che luccica (Scritta con lo spray sul muro dell’ex manicomio di Rizzeddu, Sassari)
Il discorso riguardo l’uso politico dell’arte pubblica, marginale nel mondo del writing, assume invece una certa centralità per alcuni street artist. A Sassari (SS), ad esempio, l’associazione aliment(e)azione ha realizzato due “operazioni” riguardanti la street art, organizzate in una serie di eventi miranti a coinvolgere i cittadini e a focalizzare il loro interesse sui “luoghi di confine”, ovvero “zone di disinteresse dove il paesaggio rivela a tratti aree residuali in cui la natura cresce spontanea e non disciplinata da un’azione invasiva, e a tratti spazi abbandonati trasformati in depositi-discariche in seguito alla cessata attività dell’uomo”. (http://alimenteazione.tumblr.com/streetartepisodi). I due eventi, svoltisi nel 2011 e 2012, hanno portato prima gli artisti Blu, Ericailcane e Tellas a lavorare su un capannone abbandonato, in via Sieni, e, l’anno successivo, Blu, Ericailcane e Moneyless a realizzare opere di grande impatto sugli edifici di piazza Aldo Moro. In entrambi i casi le opere si affiancano alle scritte e al writing locale. Secondo le parole degli stessi organizzatori “il fine era quello di avviare un percorso d’arte che restituisse ai cittadini la dimensione del vissuto urbano, mostrando loro la possibilità di un’interazione diversa con il contesto in cui viviamo, e risvegliando l’immaginario collettivo assopito dagli slogan delle multinazionali”. Proprio per questo l’associazione ha rifiutato la modalità agglomerante del festival in favore della pianificazione di una serie di eventi distribuiti nel tempo e legati, nello spazio, al contesto sociale in cui le azioni venivano a svolgersi, affiancando, alla realizzazione delle opere, la pratica del trekking urbano, la distribuzione di kit di sopravvivenza urbana e lo svolgimento di assemblee aperte, in spazi pubblici, riguardo temi artistici e sociali. Gli spazi in cui gli artisti sono andati ad operare, infatti, sono spazi di periferia. Riguardano, a volte, case popolari che si trovano, come nel caso di piazza Aldo Moro, nelle vicinanze di fonti di inquinamento elettromagnetico che rendono particolarmente alte le incidenze tumorali nel quartiere. Altre volte riguardano edifici recuperati dall’abbandono e occupati, sui quali si vuole gettare una luce per sensibilizzare la parte meno abbiente della popolazione riguardo i temi del diritto alla casa. Nelle opere ritroviamo i temi di maggiore criticità riguardo il territorio sardo: l’inquinamento, le servitù militari, la sudditanza rispetto al governo italiano, non a caso accompagnati dalla raffigurazione della bandiera con i quattro mori.
Dall’altra parte dell’isola, a Cagliari (CA), possiamo ritrovare intenti ed esperienze simili. C’è innanzitutto da dire che, riguardo i fermenti artistici, l’arte pubblica e la sperimentazione sociale, il capoluogo sardo sembra assumere un ruolo di rilievo nel panorama nazionale ed europeo. Non è un caso che, entrando in città, proveniendo da Quartu Sant’Elena, un graffito di grandi dimensioni dichiara “Cagliari is my NYC”. All’opera di writing, assodata nell’hinterland in paesi e frazioni come Selargius (CA), Sestu (CA), Dolianova (CA) e lo stesso Quartu Sant’Elena (CA) si è affiancata più di recente un’intensa attività artistica portata avanti, soprattutto in centro, da streetartist come Tellas, Crisa e La Fille Bertha, solo per citarne alcuni. Questo fermento ha trovato un momento di apice nella realizzazione della Galleria del Sale (http://www.cagliariartmagazine.it/galleria-del-sale/), che sorge nei pressi dello stadio, incastonando le opere realizzate nel bel mezzo delle scritte di ispirazione ultras dei paraggi.
Tra gli artisti presenti alla Galleria del Sale c’è anche Enea AC, uno dei più interessanti dell’area sassarese. Questo si pone stilisticamente in una posizione di passaggio tra il writing e la street art, fedele alle tecniche pittoriche e all’attitudine del primo (bombing, lettering…) ma capace di esprimersi tematicamente nella produzione di opere più complesse, che sembrano portare ad un punto di contatto le due discipline.
Nel quartiere Pirri, periferia Cagliaritana, ha preso vita, grazie alla volontà dell’associazione Domus de luna, l’esperienza di ExMè (http://www.domusdeluna.it/), un centro di aggregazione giovanile che catalizza attorno a sè ragazzi e adolescenti del quartiere impegnandoli in attività e laboratori gratuiti. ExMè si è insediato nei locali dell’ex mercato di quartiere, da tempo lasciati all’abbandono e diventati luogo di spaccio, ristrutturandoli del tutto e riqualificando la zona. L’Associazione Domus de luna ha coinvolto nel progetto decine di writer e street artist, in maggioranza sardi, e il casolare è ormai totalmente ricoperto di murales e sorge nel bel mezzo di una periferia piuttosto anonima e priva di servizi. La cosa interessante dell’operazione è che i murales vengono, nella maggior parte dei casi, realizzati come progetto finale di un laboratorio in cui gli artisti coinvolgono i ragazzi e li spingono a decidere temi e soggetti da rappresentare. I ragazzi stessi inoltre dipingono e si cimentano nelle varie tecniche che ogni artista gli propone. Quello che ne risulta è uno spazio-continuum di colori-forma, realizzato attraverso le tecniche più disparate, intervallato dai tentativi dei ragazzi, che inseriscono nei murales i loro messaggi. E’ così che si possono trovare scritte come “Pirri regna” o “Sconvolts” intervallate da pezzi d’autore, e questo pare proprio rispecchiare l’essenza di ExMè, dove tutto viene pensato per una fruizione partecipativa (non solo i laboratori artistici ma anche quelli musicali, teatrali, sportivi ecc….), in “un’isola” nel mezzo della periferia cagliaritana. Tra gli artisti più coinvolti nel centro ci sono Crisa, Skan, ManuInvisible, La Fille Bertha e Ufoe, per farne un elenco incompleto.
Un altro esempio cagliaritano di recupero positivo di un locale abbandonato, sebbene totalmente diverso per pratiche e fini, è Sa Domu, lo studentato occupato in centro. In questo posto, come spesso accade nei posti del genere, hanno trovato casa, oltre a decine di studenti che non potevano permetterselo, anche parecchi murales. Ad esempio quelli di Casciu/Tellas, Il Carbonauta, Skan, La Fille Bertha e del collettivo Volkswriter, tra i tanti. Lo studentato nasce come atto politico, di un’assemblea di studenti, riguardo il diritto allo studio e prende spazio nei locali di una ex scuola, abbandonata da tempo. Questi, ben consapevoli che la loro attività debba articolarsi attraverso un laboratorio permanente e aperto, piuttosto che attraverso la mera gestione di uno spazio fisico, hanno dato vita ad una serie di attività sociali e di riflessione politica sul diritto allo studio, aperte alla cittadinanza. Di queste riflessioni se ne può trovare traccia in un dossier (qui un estratto: http://www.infoaut.org/index.php/blog/culture/item/15044-una-domu-po-casteddu), autoprodotto di recente, in cui, a meno di un anno di occupazione, i ragazzi tracciano un bilancio delle loro attività e disegnano un profilo (abbastanza preoccupante) della situazione italiana riguardo la reale possibilità di formazione delle classi più povere. Nel libretto si parla esplicitimante della scelta di chi decide di non emigrare, nonostante le difficoltà e dell’intenzione di “rappresentare uno strumento politico per combattere l’emarginazione sociale e allontanare i giovani dalle sostanze stupefacenti”. Vi si prende inoltre chiaramente posizione in merito alle questioni dei fondi dedicati al diritto allo studio e alle politiche abitative svolte dalle istituzioni in Sardegna, pubblicando cifre e resoconti e indicando i principali progetti di speculazione edilizia in atto in città. Ma, se le attività e le riflessioni del collettivo sono l’anima del progetto Sa Domu, l’edificio che i ragazzi hanno liberato ne è la struttura che ne permette l’esistenza. I murales svolgono qui una funzione importante testimoniando la vitalità artistica che passa attraverso lo studentato e rendendo prezioso il luogo che ospita le esperienze politiche che vi si svolgono. A volte, come è stato nel caso di Xm24 a Bologna, il murales di Blu (http://ilovexm24.indivia.net/), possono essere uno degli strumenti con cui si portano avanti le battaglie e le rivendicazioni legate al diritto a rimanere in un posto che si è strappato all’abbandono.
Attorno l’area di Cagliari ci sono numerosi paesi notevoli per quanto riguarda la presenza storica del muralismo. Due di questi sono Villamar (VS) e Serramanna (CA). In quest’ultimo, in particolare, l’attività muralistica fù molto intensa a cavallo tra i ’70 e gli ’80 anche grazie alla Brigata Muralista Salvador Allende, formata da esuli cileni, che sviluppò un arte fortemente connotata politicamente, figlia dello stesso clima culturale orgolese, ma diversa stilisticamente. A Serramanna infatti si produssero murales di più grandi dimensioni e dalla forte caratterizzazione drammatica. Uno dei temi più ricorrenti era l’avversione antimilitarista verso l’occupazione di terre a scopo militare, situazione tuttora irrisolta.
Un altro paese fondamentale per la storia del muralismo sardo è San Sperate (CA). Qui sono stati realizzati i primi murales sardi, nel 1968, soprattutto grazie all’attività di Pinuccio Sciola, che ha saputo portare nel paese i fermenti culturali recepiti in Francia e Spagna durante quel periodo. L’artista è riuscito a coinvolgere l’intero paese con la sua idea e oggi San Sperate è chiamato il “Paese Museo” (http://www.paesemuseo.com/paesemuseo/) ed è in grado di richiamare l’attenzione di artisti da ogni parte del mondo, che vengono qui a lasciare la loro opera. Il muralismo a San Sperate ha caratteristiche prettamente artistiche: non ha urgenze politiche. Il paese intero è una vera e propria collezione, un caleidoscopio di stili e forme differenti che si articola non solo nei dipinti murari ma anche nelle sculture, nei bassorilievi e in alcune forme di installazione urbana. L’atmosfera culturale di San Sperate è incredibilmente poliedrica per un centro di 8000 abitanti: vi si registrano artisti come Angelo Pilloni, impegnato nella realizzazione di murales tradizionali, iniziative dedicate alla street art (http://writers.officinevida.eu/), alla progettazione partecipata degli interventi urbanistici (http://www.paesemuseo.com/paesemuseo/archivio-notizie/45-il-progetto-colore-identita-primo-classificato-alleuro-pa-di-rimini) oltre che esibizioni di musicisti e compagnie teatrali di livello internazionale.
Tra gli artisti presenti a San Sperate c’è ManuInvisible, particolarmente interessante perchè, in alcune sue ricerche, è possibile vedere un momento di contatto tra il muralismo sardo e la street art. ManuInvisible è uno dei più particolari streetartist dell’isola ed è possibile trovare suoi lavori ovunque. La sua attività lungo la SS131 e SS130 manifesta una determinazione e devozione non comune. Tra le sue opere vi sono alcuni ritratti, ispirati a personaggi del suo paese, realizzati con tecniche contemporanee come lo spray, il rullo e il dripping.
Appena prima di arrivare a Sant’Antonio Santadì (VS), all’imbocco del ponte per Marceddì (OR), sorgono i resti della palazzina Castoldi, abbandonata e isolata, in mezzo ad una collina di rovi. La palazzina era la casa di una famiglia nobile concessionaria dei diritti sulle peschiere, principale forma di sostentamento del luogo. Con la vittoria delle rivendicazioni dei pescartori e la fine di questo sistema la famiglia ha abbandonato la località e l’edificio. Andrea Casciu e Kiki Skipi hanno recentemente realizzato un murales su uno dei muri esterni della costruzione. Per vederlo è necessario lasciare la macchina e addentrarsi tra i rovi. L’opera è perciò accessibile solo a chi ne è a conoscenza. Non vuole intervenire ne rivalorizzare una struttura esistente. Trova però una sua collocazione e una sua ragione nelle rovine su cui è realizzata.
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