Nella “verde” Umbria, in una valle circondata dagli Appennini, nel mio paese, si vivono da mesi, in accordo col clima generale che si respira in Italia, tensioni legate alla realizzazione di “grandi opere”. Una di queste è sicuramente la polemica riguardante il progetto di costruzione di una strada a scorrimento veloce, che raddoppierebbe di fatto la strada che attualmente collega il paese con la superstrada. Una seconda riguarda la formazione di un comitato cittadino “No-Inceneritore”, in quanto le cementerie del paese (due) premono per ottenere il via libera all’incenerimento dei rifiuti CSS nei loro forni, reso possibile da un passato ministro, nel 2012.
Mi rendo conto del fatto che parlare di queste due cose contemporaneamente può risultare confusionario. D’altra parte non intendo affrontare nello specifico i problemi delle due opere, aventi ognuna le proprie particolarità. Spero di riuscire ad affrontare in futuro entrambi i casi singolarmente. Per ora mi interessa ragionare sulla spinta irrazionale verso la realizzazione di opere altamente impattanti verso l’ambiente, che sembra non risparmi neanche situazioni di elevata vocazione naturalistica e storica, come quella da cui provengo.
Parliamo di strade.
Credo che vada de-costruita l’aura di progresso legata alle opere infrastrutturali. Se nessuno può negare che una città con pretese turistiche risulti svantaggiata da una posizione geografica difficilmente raggiungibile, è altrettanto evidente che spesso è proprio la posizione geografica particolare che permette nel tempo a certe caratteristiche naturali o urbanistiche di mantenersi inalterate. Il progresso è un termine vuoto, quello che poteva essere desiderabile solo dieci anni fa, oggi può risultare uno sbaglio. I territori, che per varie ragioni hanno perso il treno della realizzazione di grandi collegamenti nei periodi di cementificazione indiscriminata, potrebbero rivelarsi avvantaggiati. Dipenderà dalla loro capacità di prendere coscienza del tesoro che rappresenta un ambiente incontaminato.
La difficoltà che si può incontrare quindi nel raggiungere un contesto non del tutto urbanizzato è a questo punto indivisibile dall’esperienza di vita in suddetto contesto. Certo per chi in questi posti abita il disagio può essere alto. Ma bisogna domandarsi cosa voglia dire affrontare la questione nella direzione del miglioramento delle comodità ad ogni costo, causando disastri e devastazioni di cui ci si potrà pentire per anni e che non saranno in alcun modo sanabili.
Il cambiamento che si deve produrre è perciò nella mentalità ma anche nella quotidianità delle persone. Questi cambiamenti non sono impossibili: sono frutto di percorsi di formazione a cui le amministrazioni e i politici, se in buona fede, dovrebbero provvedere. Mi riferisco in particolare ad un cambiamento nella prospettiva comune che vede il paese come mera periferica della città.
E parliamo di inceneritori.
In linea di massima il ragionamento è lo stesso. L’inizio di un attività del genere nei forni delle cementerie moltiplicherebbe l’immissione di inquinamento, anidride carbonica, diossine e CMR (sostanze Cancerogene, Mutagene e tossiche per la Riproduzione) in un ambiente in cui, bisogna ricordarlo, il tasso di anidride carbonica immesso dalle industrie viene già sforato del 90% ogni anno. Tutto questo, in un contesto di primo piano dal punto di vista ambientale, è stato tollerato in virtù dell’occupazione che ha generato nel tempo (e del bacino di voti che tale occupazione è andata a garantire). Tale baratto si è però rivelato per la presa in giro che è nel momento in cui, con la crisi, gli stabilimenti non hanno esitato a fare ricorso alla cassa integrazione. Per inciso, sembrerebbe che l’inizio di un’attività di incenerimento rifiuti non comporti un aumento di personale sostanziale.
Anche in questo caso occorre decostruire il mito del progresso che fino a qualche tempo fa vedeva nell’industria e nei collegamenti veloci i suoi cavalli di battaglia. Quest’idea continua ad essere valida solo nella mente di quegl’imprenditori che vogliono arricchirsi con le opere da realizzare e in quella dei politici che da questi ricevono appoggio, ricambiandolo con permessi particolari.
Il progresso, basta avere un po’ di buon senso, ormai non ne può più della retorica del costruire: oggi progresso, è una mia opinione, vuol dire valorizzare e ristrutturare. L’ambiente attorno ai cementifici ha pagato a caro prezzo la presenza dell’industria che ospitava vedendo erodere lati interi di montagna: ma ancora più pesante sarà questa eredità se non si riuscirà a creare una prospettiva diversa per tutti quei lavoratori che lì hanno trovato uno stipendio sicuro ma che, per forza di cose, dovranno presto trovare un’altra fonte di reddito. Guardare al problema del lavoro, nella specificità dei propri territori, con occhi nuovi diventa fondamentale. Valorizzando magari attività locali che risentano meno direttamente delle crisi del capitale generate dal capitale stesso. Anche in questo caso, dunque, è un cambiamento di predisposizione mentale e di prassi quotidiane che è necessario.
Il business degli inceneritori è legato a quello delle strade in quanto entrambi hanno a che fare, nel mio paese, con il cemento. Qualunque cosa accada io so che, se queste opere verranno realizzate, questo sarà a causa di una volontà politica, volta a rendere favori ai signori del cemento.