Roma 2015 – centro Baobab a Tiburtina. Emergenza migranti eritrei.

Dogane e Frontiere: di come le merci viaggiano e le persone affogano.

Scrivo queste righe per fare un appello: c’è bisogno di portare solidarietà ai migranti (soprattutto Eritrei) presso il centro Baobab di via Cupa, Roma (pressi stazione Tiburtina). Ci si può recare direttamente sul posto portando vestiti, cibo o medicinali e si troverà sicuramente qualcosa da fare. L’atmosfera è decisamente amichevole nonostante la situazione difficile. Naturalmente è un luogo in cui molte persono vengono per la prima volta a contatto con la nostra realtà, quindi un luogo di conflitto, tuttavia ben gestito e mediato. L’emergenza è rientrata ma c’è ancora da fare. La situazione presso il centro è gestita da volontari, ma, per sapere cosa portare ed essere informati, si possono seguire i profili Facebook di “Nuovo cinema palazzo” o “Libera repubblica di San Lorenzo“.

I ragazzi arrivati sono spesso in condizioni di malnutrizione e scarsa igiene. Hanno tra i 15 e i 25 anni per lo più, ma ci sono anche persone anziane e qualche bambino. Sono riscontrati casi di scabbia, ma comunque non è stato registrato nessun contagio in Italia, viste anche le caratteristiche della malattia, di difficile trasmissione e di facile cura (con una pomata). Sono svariate centinaia più di quelli che il centro potrebbe ospitare. Al Baobab si è allestito un presidio medico, una mensa e un magazzino per fornire vistiti di ricambio.

Riguardo il centro Baobab faccio mie le riflessioni apparse su questo articolo che ne delinea alcune ombre. Tra le luci, dico io, quella di essere l’unico centro autogestito dai migranti, pensato per i transitanti. Tra le luci anche la capacità dimostrata di aprirsi ed accogliere. Tra le ombre mi riallaccio all’articolo per sottolineare come a volte la presenza di questi centri e la loro capacità di accoglienza sia funzionale alla repressione di cui sono oggetto i migranti. Con la sua capacità di far sparire il disagio dalle strade, infatti, esso potrebbe rappresentare una giustificazione all’azione repressiva dello stato là dove nascono forme di aggregazione e resistenza consapevoli. Tra le ombre del centro, ricordiamo anche, l’essere stata la sede della famosa cena di Alemanno con Buzzi e Casamonica, venuta fuori durante l’inchiesta Mafia Capitale; anche se bisogna dire che il centro non risulta indagato. Resterebbe anche da chiarire se il centro prende o meno soldi pubblici per mantenersi.

Il suo direttore, Daniel Zagghay, in una video intervista dice di no. Tale particolare risulta importante per due motivi. Il primo riguarda la gestione dell’emergenza, la possibilità che qualcuno lucri alle spalle dei migranti in tale situazione. Il secondo apre un interrogativo su chi finanzia il centro.

Sul web qualcuno pare ventilare rapporti direttamente col regime eritreo. Qualcun’altro un collegamento con le rotte dei trafficanti di uomini. Per quanto riguarda questi ultimi non c’è molto da dire.

Per quanto riguarda il regime eritreo c’è una video inchiesta di Fabrizio Gatti, chiamata L’amico Isaias che ce ne ricorda alcuni tratti. Si tratta di una finta democrazia in cui il presidente, nominato da un’assemblea con funzione temporanea nel 1993, non ha mai indetto elezioni. Si tratta, cioè di una dittatura, di stampo tra l’altro militare. In Eritrea il servizio militare è obbligatorio, può durare tutta la vita (!) e impone di lavorare gratis per la propria patria. Nel frattempo la restante economia si basa esclusivamente su una scarsa agricoltura perche i ricchi giacimenti sono totalemente sfruttati dalle multinazionali occidentali (con il beneplacito del “presidente”) e nulla di quella ricchezza ricade sulla popolazione. Essenzialmente l’Eritrea si basa sugli aiuti economici di un mondo occidentale la cui colonizzazione non pare essere mai finita (vi ricordate di chi fù colonia l’Eritrea?).

Il regime da cui queste persone scappano, dunque, è possibile grazie al capitalismo. Anzi è necessario al capitalismo. Queste persone vi scappano e vengono a cercare rifugio nei paesi dove il capitalismo è di casa. Accoglierli è nostro dovere, oltre che loro diritto.

Perchè è anche colpa nostra.

 

P.S. Ribadisco che i volontari presenti in questi giorni al centro Baobab sono esterni al Baobab stesso. Sono lì per aiutare i migranti e i transitanti ed operano appoggiandosi alla struttura. Il centro inoltre è, genericamente, autogestito e uno degli scopi della nostra presenza lì deve essere di formare gli “ospiti” che arrivano all’autogestione.

P.P.S. Portate vestiti soprattutto da uomo, taglie piccole, biancheria e scarpe. Portate coperte e lenzuola. Portate medicinali, disinfettanti e pomate antiscabbia. Per la cucina prima chiedete perchè si rischia di accumulare cibo che va a male. Andate direttamente sul posto, da fare c’è e si respira una bella aria.

Qui le foto

Olocausto – la situazione degli Ebrei di Roma

“Scrivo questo articolo, memore di quanto avvenuto durante gli anni ’30 e ’40 del 1900, per denunciare la condizione degli ebrei in Italia oggi.

E’ in essere una condizione di discriminazione del popolo ebraico gravissima, del tutto simile a quella che ne precedette il genocidio, anni fa.

Dei circa 15 milioni di Ebrei presenti nel mondo, 130.000 vivono in Italia. Di questi circa 7.000 vivono a Roma, dove si registrano le situazioni di maggior disagio sociale. Gli Ebrei sono odiati da tutti e da tutti additati a nemico pubblico. Se ognuno ha le proprie antipatie, pare che tutti gli italiani siano daccordo nell’odiare gli Ebrei. Tutti li ritengono ladri e pericolosi a prescindere. A tal punto è radicato il pregiudizio sembra essere diventato ontologico. L’assioma ladro-Ebreo è da tutti riconosciuto come vero e non necessità prove. Talmente forte è questo sentimento anti-ebraico che questa popolazione è diventata il capro espiatorio delle frustrazioni di tutti per qualsiasi risentimento.

Tale pregiudizio causa una situazione di evidente segregazione concretizzatasi in una vera e propria frattura sociale la quale viene giustificata dagli italiani con la sentenza secondo la quale “gli ebrei non si vogliono integrare”. Gli Ebrei stessi dicono di volersi integrare, che io sappia, senza rinunciare alle loro tradizioni, che certamente non includono il malaffare! In generale sono rarissimi gli esempi di integrazione degli Ebrei, che non trovano posto nel mondo del lavoro, perchè nessuno li vuole. Non sono rari i casi di rivolte dei genitori quando un loro figlio capita in classe con un Ebreo. Particolarmente odiosa è poi questo astio degli italiani contro i bimbi Ebrei, che sicuramente colpe non hanno e che pure vengono visti come dei ladri in potenza, già marchiati dal loro destino di farabutti e quindi da schivare e da cacciare anche quando, ad esempio, entrano in un bar a chiedere un bicchiere d’acqua.

A causa della situazione di estrema povertà è facile vederli elemonisare o raccattare rifiuti dai cassoneti, vestiti di stracci e sporchi. Tale condizione, anzichè suscitare un moto di pietà, non si sa perchè, suscita un sentimento di disprezzo per il povero, in quanto probabilmente fastidioso alla vista. Tanto è stigmatizzato questo popolo che il cassonetto deturpato e i rifiuti lasciati sul marciapiede indignano gli italiani più della madre che ha cercato in quel cassonetto gli stracci per coprire il figlio. Certo, come tutti i poveri, molti di loro rubano. Ma a nessuno di loro questo rubare è perdonato, in quanto poveri. Essi dovrebbero lasciarsi morire di fame. In più, la loro condizione di reietti, già misera, è aggravata da una serie di leggende particolarmente odiose e infide, che li vuole segretamente ricchi o addirittura ladri di bambini. Tralasciando l’ignobile storia dei bambini (mai un caso riportato negli ultimi 30 anni) l’attenzione morbosa degli italiani si concentra su di loro quando si scopre che qualcuno di essi ha un cospicuo conto bancario o un auto di lusso. Dimenticano, gli italiani, che se si vive in una baracca non si pagano mutui e affitti e che accumulare denaro (in nero, perchè nessuno ti assume) è più facile. Dimenticano anche che se si è nomadi l’auto è un bene di prima necessità. Dimenticano, ad ogni modo, che possedere qualcosa, se non si prova che sia stato rubato, non è un reato; ma evidentemente gli italiani negano tale diritto agli Ebrei.

In generale queste popolazioni sono costrette a vivere ai margini delle città. Essendo popolazioni di tradizione nomade si è generata attorno ad essi una confusione subdola che li vuole rifiutanti la fissa dimora. Perciò questi vivono per lo più in baracche e campi in condizioni di emergenza sanitaria. In questi campi vivono solo persone della stessa etnia. Con leggi ad hoc lo stato italiano ha deciso di “aiutarli” secondo la logica dei campi e non secondo quella delle case popolari, anche per quelli che tra di loro sono cittadini ialiani; questo in aperto contrasto con la loro dichiarata volontà di integrazione. Attorno agli appalti per la gestione di suddetti campi si sono concentrati interessi mafiosi che hanno arricchito le tasche di pochi imprenditori collusi colla politica e che hanno fatto sì che la situazione nei campi degenerasse per la mancanza di servizi. Si vive senza bagni, in baracche in cui piove, cucinando all’aperto, in aree da cui nessuno porta via i rifiuti. Questa situazione è usata da molti politici per la propria campagna elettorale. In alcuni di questi campi la povertà è talmente alta che l’unica alternativa per gli abitanti è farsi pagare per far smaltire abusivamente a terzi rifiuti nel territorio del campo. Questo aumenta i rischi per la salute degli Ebrei che lì abitano e l’indignazione degli italiani che vivono nei paraggi e non sopportano il degrado di tali zone, in un circolo vizioso che si autoalimenta.

Daltronde chi vive in un campo non ha molte probailità di trovare lavoro: questi campi vengono costruiti o sorgono abusivamente in zone lontane dalla città. Gli Ebrei danno fastidio alla vista, tutti sporchi e schifosi come sono. Spesso, da quelle zone è difficile raggiungere il centro città perchè non ci sono mezzi di trasporto. Spesso, gli abitanti del campo rimangono per giorni interi nel campo, non riuscendo ad uscirne e non avendo un lavoro, in una condizione di progressivo degrado umano e sociale. La povertà dilaga. I servizi sociali mancano. Si sono registrati casi di bambine che accettavano di fare dichiarazioni contro il loro popolo, ad un giornalista, in cambio di 20 euro.

I media, in effetti, hanno una grave responsabilità in questa situazione, colpendo gli Ebrei quotidianamente con articoli infamanti in cui si confermano i peggiori luoghi comuni nei loro confronti, spesso senza fondamenti alcuni, oltre alle dichiarazioni degli stessi lettori ignoranti di tali giornali. Gli Ebrei, in effetti, fanno notizia ma solo quando rubano.

Altra grande responsabilità la hanno i politici, che nutrono il pregiudizio nei confronti degli Ebrei per poi sfruttarlo in campagna elettorale, considerando il popolo italiano sempre più impaurito e povero di strumenti critici. In questi anni abbiamo visto politici urlare di distruggere con le ruspe le baracche dove gli Ebrei vivono senza avvertirli, insultare gli Ebrei definendoli feccia in televisione, incitare gli italiani a farsi “giustizia da soli”. Tanto che molti ormai in Italia dichiarano di essersi armati e di essere pronti a sparare se un Ebreo dovesse entrare nella loro proprietà. A fronte di questa situazione tragica da un lato, pronta all’esplosione dall’altro, tutti sembrano aver scordato che gli Ebrei sono, in maggiornanza, di cittadinanza italiana.”

Ora sostituite alla parola “Ebrei” la parola “Rom” e avrete una fotografia della situazione dei Rom in Italia. Ma con la parola Rom, il sentimento di indignazione non scatta.

L’idea di questo articolo mi è stata data dalle parole di Carlo Stasolla, presidente dell’associazione 21 Luglio, ascoltate nel reportage Romanì de Roma.

Oggi, a Bologna, c’è stata la manifestazione nazionale delle popolazioni Sinti e Rom. Per quanto io provi a pensare che rubino e commettano tutto quello che gli viene imputato non riesco a immaginarli come la parte più forte del conflitto di cui, loro malgrado, sono protagonisti.

Riassunto di 8 anni di NoExpo per chi l’ha conosciuto il Primo Maggio

Voglio fare un breve compendio di quello che è ed è stato il movimento NoExpo, dal 2007 ad oggi.

Questo pur consapevole dei rischi di superficialità e dimenticanze insite nell’operazione. Lo faccio perchè mi rendo conto che il numero di persone venute a conoscenza del movimento solo con le vetrine rotte e le auto in fiamme è insospettabilemente enorme; il numero di persone convinte che chi ha praticato la violenza rappresenti tout-court il movimento NoExpo ugualmente impressionante. Il potere dei mass-media mainstream cui siamo sottoposti, indissolubilmente legato ai vertici economico-politici, funziona perfettamente: quello che decide di mostrare viene creduto reale, d’altra parte nessuna spiegazione è richiesta dall’opinione pubblica. L’evento mediatico “devastazione” (termine usato dalla stampa, in cui è già implicita la sentenza) è il meccanismo che ha funzionato meglio.

A partire dalla visione del progetto iniziale di Expo si formano dei comitati, inizialmente locali, poi allargatesi a realtà ecologiste. Un esempio è il comitato NoCanal. Il progetto iniziale di Expo infatti prevedeva la realizzazione di una “via d’acqua” che sarebbe servita ad approvvigionare l’area espositiva, incentrata sull’agricoltura. Tale canale avrebbe addirittura dovuto essere navigabile, per lo scambio merci, il tutto a spese di tre parchi pubblici cittadini, tra cui il parco di Trenno, che avrebbero dovuto essere cementificati per consentire la costruzione del canale. Tra i meriti della mobilitazione NoExpo, quello di aver salvato quasi per intero queste aree verdi, riuscendo a far ridimensionare il progetto, vittoria segnata ben prima del 1 Maggio 2015.

Sempre per costruire la famigerata via d’acqua il comune di Milano e la regione Lombardia hanno provveduto ad espropri di terreni agricoli, allargando il consenso del movimento ad una fetta di lavoratori della terra che, magari, praticavano veramente agricoltura biologica.

Il tema dell’agricoltura ha anche portato il movimento ad interrogarsi sulla bontà degli slogan di Expo (“nutrire il pianeta”) quando sono stati resi noti gli sponsor dei vari padiglioni: McDonald’s (che per l’occasione ha rivisitato la sua veste comunicativa in chiave “green”), Coca-Cola, Nestlè, Eni, Enel, Pioneer-Dupont, Selex-Es ecc… La spudarata ipocrisia di chi organizza una fiera mondiale sul delicato tema del cibo e della fame e lo fa con l’aiuto di chi disbosca l’Amazzonia, ruba acqua e petrolio all’Africa e sfrutta manodopera a basso costo in Asia ha portato ad avvicinarsi al movimento gran parte della galassia No-Global, presente sul territorio ed attiva per lo più (ma non solo) nei centri sociali.

E sempre a proposito di sponsor la questione della presenza di Eataly, guidata da uno dei maggiori finanziatori della campagna elettorale di Renzi, a cui sono stati affidati, senza bando, i due padiglioni principali, col gravoso compito di rappresentare l’Italia, ha contribuito al formarsi di ulteriori alleanze tra i NoExpo e quegli altri collettivi impegnati a decostruire la retorica del marketing farinettiano.

Quando Expo ha aperto i bandi per reclutare i lavoratori necessari durante i 6 mesi dell’evento, il movimento NoExpo si è allargato alle realtà del mondo sindacale, dato che per la maggior parte delle posizioni lavorative non era prevista retribuzione. Questione, quella del volontariato, a cui, nonostante le diverse promesse fatte da Expo riguardo la creazione di circa 70000 posti di lavoro (non mantenute), non si è riusciti a porre rimedio.

Nei contratti retribuiti stipulati, arrivati in prossimità dell’inaugurazione, vi è stabilito che il lavoratore  rinuncerà per la durata dell’evento al diritto di sciopero e che si renderà disponibile per lavorare in qualunque giorno della settimana. I più attenti attivisti nel campo dei diritti dei lavoratori hanno visto in questo una sorta di sperimentazione di nuove forme di sfruttamento da applicare, in futuro, a tutto il mondo del lavoro. E’ per questo che, anche grazie alla subdola scelta di inaugurare Expo il 1 Maggio, c’è stato un naturale confluimento dei movimenti che organizzano la MayDay parade nella mobilitazione NoExpo. La MayDay parade è, da almeno 15 anni, un appuntamento fisso a Milano e parte del più generale appuntamento europeo del 1 Maggio. Ogni anno porta in piazza le realtà del mondo antagonista nel campo sindacale e ha visto nascere realtà come San Precario, che hanno contribuito a creare massa critica e attiva attorno alle riforme del mondo del lavoro, a partire dalla legge 30/2003 in poi.

Nel frattempo venivano aperti i cantieri (i lavori sono per lo più ancora in corso) per la realizzazione delle 15 grandi opere, prevalentemente strade, connesse ad Expo. L’ironica combinazione che ha voluto queste infrastrutture costruite tramite cementificazione di terreni agricoli e la constatazione che a vincere i bandi siano state le stesse aziende edili impiegate nei lavori relativi ad altri ecomostri, ha rinsaldato la comunione tra NoExpo e altri movimenti di opposizione alle grandi opere, NoTav in primis.

Le questione degli esorbitanti costi di realizzazione dell’opera, ottenuti contraendo un debito con le solite banche private ha probabilmente avvicinato ai NoExpo quanti si battono per un uso della spesa pubblica utile al sociale: il movimento per il diritto all’abitare, giusto per citarne uno, in questi anni in rapida ascesa a causa delle decine di sgomberi che ogni giorno lasciano famiglie insolventi senza dimora.

Nel frattempo la magistratura incominciava ad indagare riguardo la corruzione negli appalti, scoprendo segreti di pulcinella e contribuendo ad allargare il consenso popolare attorno al movimento, almeno in quella fetta di popolazione ancora moderatamente dotata di spirito critico e non totalmente succube della narrazione mediatica dominante.

Poi c’è stato il 1 Maggio di Milano. Ogni forma di lotta ha il suo apice. A questa data il movimento NoExpo è arrivato così, dopo 8 anni di battaglie e anche di vittorie. Pure nella sinteticità e fretta (ho  ricostruito a memoria e non necessariamente in ordine cronologico) spero di aver reso un’idea della complessità della mobilitazione e della sua formazione.

Io credo che di questo dovremmo parlare. Di questo e delle prospettive future della lotta.

Riguardo gli scontri non voglio esprimere giudizio, anche perchè non c’ero e non tutto mi è chiaro. Per chi ha voglia di giocare al gioco del manifestante buono e di quello cattivo suggerisco la seguente raccolta di comunicati/articoli di movimento (in aggiornamento):

Dopo il corteo del 1 Maggio, riflettiamo per non cadere nella dicotomia tra “buoni o cattivi”.

Primo Maggio, su, coraggio – Una raccolta di contributi per il dibattito sulla #NoExpoMayDay2015

https://www.tumblr.com/danslarue1312/118069428379/lexpo-e-linternazionale-senza-nome-il-carattere

Lo spazio dei movimenti e la guerra simulata

http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/05/02/corteo-no-expo-troppa-visceralita-nelle-reazioni-ai-black-bloc-di-milano/1645822/

http://www.informa-azione.info/milano_1%C2%B0_maggio_no_expo_sempre_complici_e_solidali_comunicato_della_rete_evasioni

http://ilmanifesto.info/storia/cento-colpi-di-spugna-tra-roma-e-milano/

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Il mio pensiero è per Klodian Elezi, ragazzo albanese di 21 anni, morto mentre lavorava senza dispositivi di sicurezza in un cantiere correlato ad Expo, nella fretta di terminare in tempo i lavori.