Dogane e Frontiere: di come le merci viaggiano e le persone affogano.
Qui l’articolo e le riflessioni
Dogane e Frontiere: di come le merci viaggiano e le persone affogano.
Qui l’articolo e le riflessioni
Dogane e Frontiere: di come le merci viaggiano e le persone affogano.
Scrivo queste righe per fare un appello: c’è bisogno di portare solidarietà ai migranti (soprattutto Eritrei) presso il centro Baobab di via Cupa, Roma (pressi stazione Tiburtina). Ci si può recare direttamente sul posto portando vestiti, cibo o medicinali e si troverà sicuramente qualcosa da fare. L’atmosfera è decisamente amichevole nonostante la situazione difficile. Naturalmente è un luogo in cui molte persono vengono per la prima volta a contatto con la nostra realtà, quindi un luogo di conflitto, tuttavia ben gestito e mediato. L’emergenza è rientrata ma c’è ancora da fare. La situazione presso il centro è gestita da volontari, ma, per sapere cosa portare ed essere informati, si possono seguire i profili Facebook di “Nuovo cinema palazzo” o “Libera repubblica di San Lorenzo“.
I ragazzi arrivati sono spesso in condizioni di malnutrizione e scarsa igiene. Hanno tra i 15 e i 25 anni per lo più, ma ci sono anche persone anziane e qualche bambino. Sono riscontrati casi di scabbia, ma comunque non è stato registrato nessun contagio in Italia, viste anche le caratteristiche della malattia, di difficile trasmissione e di facile cura (con una pomata). Sono svariate centinaia più di quelli che il centro potrebbe ospitare. Al Baobab si è allestito un presidio medico, una mensa e un magazzino per fornire vistiti di ricambio.
Riguardo il centro Baobab faccio mie le riflessioni apparse su questo articolo che ne delinea alcune ombre. Tra le luci, dico io, quella di essere l’unico centro autogestito dai migranti, pensato per i transitanti. Tra le luci anche la capacità dimostrata di aprirsi ed accogliere. Tra le ombre mi riallaccio all’articolo per sottolineare come a volte la presenza di questi centri e la loro capacità di accoglienza sia funzionale alla repressione di cui sono oggetto i migranti. Con la sua capacità di far sparire il disagio dalle strade, infatti, esso potrebbe rappresentare una giustificazione all’azione repressiva dello stato là dove nascono forme di aggregazione e resistenza consapevoli. Tra le ombre del centro, ricordiamo anche, l’essere stata la sede della famosa cena di Alemanno con Buzzi e Casamonica, venuta fuori durante l’inchiesta Mafia Capitale; anche se bisogna dire che il centro non risulta indagato. Resterebbe anche da chiarire se il centro prende o meno soldi pubblici per mantenersi.
Il suo direttore, Daniel Zagghay, in una video intervista dice di no. Tale particolare risulta importante per due motivi. Il primo riguarda la gestione dell’emergenza, la possibilità che qualcuno lucri alle spalle dei migranti in tale situazione. Il secondo apre un interrogativo su chi finanzia il centro.
Sul web qualcuno pare ventilare rapporti direttamente col regime eritreo. Qualcun’altro un collegamento con le rotte dei trafficanti di uomini. Per quanto riguarda questi ultimi non c’è molto da dire.
Per quanto riguarda il regime eritreo c’è una video inchiesta di Fabrizio Gatti, chiamata L’amico Isaias che ce ne ricorda alcuni tratti. Si tratta di una finta democrazia in cui il presidente, nominato da un’assemblea con funzione temporanea nel 1993, non ha mai indetto elezioni. Si tratta, cioè di una dittatura, di stampo tra l’altro militare. In Eritrea il servizio militare è obbligatorio, può durare tutta la vita (!) e impone di lavorare gratis per la propria patria. Nel frattempo la restante economia si basa esclusivamente su una scarsa agricoltura perche i ricchi giacimenti sono totalemente sfruttati dalle multinazionali occidentali (con il beneplacito del “presidente”) e nulla di quella ricchezza ricade sulla popolazione. Essenzialmente l’Eritrea si basa sugli aiuti economici di un mondo occidentale la cui colonizzazione non pare essere mai finita (vi ricordate di chi fù colonia l’Eritrea?).
Il regime da cui queste persone scappano, dunque, è possibile grazie al capitalismo. Anzi è necessario al capitalismo. Queste persone vi scappano e vengono a cercare rifugio nei paesi dove il capitalismo è di casa. Accoglierli è nostro dovere, oltre che loro diritto.
Perchè è anche colpa nostra.
P.S. Ribadisco che i volontari presenti in questi giorni al centro Baobab sono esterni al Baobab stesso. Sono lì per aiutare i migranti e i transitanti ed operano appoggiandosi alla struttura. Il centro inoltre è, genericamente, autogestito e uno degli scopi della nostra presenza lì deve essere di formare gli “ospiti” che arrivano all’autogestione.
P.P.S. Portate vestiti soprattutto da uomo, taglie piccole, biancheria e scarpe. Portate coperte e lenzuola. Portate medicinali, disinfettanti e pomate antiscabbia. Per la cucina prima chiedete perchè si rischia di accumulare cibo che va a male. Andate direttamente sul posto, da fare c’è e si respira una bella aria.
Qui le foto
Voglio fare un breve compendio di quello che è ed è stato il movimento NoExpo, dal 2007 ad oggi.
Questo pur consapevole dei rischi di superficialità e dimenticanze insite nell’operazione. Lo faccio perchè mi rendo conto che il numero di persone venute a conoscenza del movimento solo con le vetrine rotte e le auto in fiamme è insospettabilemente enorme; il numero di persone convinte che chi ha praticato la violenza rappresenti tout-court il movimento NoExpo ugualmente impressionante. Il potere dei mass-media mainstream cui siamo sottoposti, indissolubilmente legato ai vertici economico-politici, funziona perfettamente: quello che decide di mostrare viene creduto reale, d’altra parte nessuna spiegazione è richiesta dall’opinione pubblica. L’evento mediatico “devastazione” (termine usato dalla stampa, in cui è già implicita la sentenza) è il meccanismo che ha funzionato meglio.
A partire dalla visione del progetto iniziale di Expo si formano dei comitati, inizialmente locali, poi allargatesi a realtà ecologiste. Un esempio è il comitato NoCanal. Il progetto iniziale di Expo infatti prevedeva la realizzazione di una “via d’acqua” che sarebbe servita ad approvvigionare l’area espositiva, incentrata sull’agricoltura. Tale canale avrebbe addirittura dovuto essere navigabile, per lo scambio merci, il tutto a spese di tre parchi pubblici cittadini, tra cui il parco di Trenno, che avrebbero dovuto essere cementificati per consentire la costruzione del canale. Tra i meriti della mobilitazione NoExpo, quello di aver salvato quasi per intero queste aree verdi, riuscendo a far ridimensionare il progetto, vittoria segnata ben prima del 1 Maggio 2015.
Sempre per costruire la famigerata via d’acqua il comune di Milano e la regione Lombardia hanno provveduto ad espropri di terreni agricoli, allargando il consenso del movimento ad una fetta di lavoratori della terra che, magari, praticavano veramente agricoltura biologica.
Il tema dell’agricoltura ha anche portato il movimento ad interrogarsi sulla bontà degli slogan di Expo (“nutrire il pianeta”) quando sono stati resi noti gli sponsor dei vari padiglioni: McDonald’s (che per l’occasione ha rivisitato la sua veste comunicativa in chiave “green”), Coca-Cola, Nestlè, Eni, Enel, Pioneer-Dupont, Selex-Es ecc… La spudarata ipocrisia di chi organizza una fiera mondiale sul delicato tema del cibo e della fame e lo fa con l’aiuto di chi disbosca l’Amazzonia, ruba acqua e petrolio all’Africa e sfrutta manodopera a basso costo in Asia ha portato ad avvicinarsi al movimento gran parte della galassia No-Global, presente sul territorio ed attiva per lo più (ma non solo) nei centri sociali.
E sempre a proposito di sponsor la questione della presenza di Eataly, guidata da uno dei maggiori finanziatori della campagna elettorale di Renzi, a cui sono stati affidati, senza bando, i due padiglioni principali, col gravoso compito di rappresentare l’Italia, ha contribuito al formarsi di ulteriori alleanze tra i NoExpo e quegli altri collettivi impegnati a decostruire la retorica del marketing farinettiano.
Quando Expo ha aperto i bandi per reclutare i lavoratori necessari durante i 6 mesi dell’evento, il movimento NoExpo si è allargato alle realtà del mondo sindacale, dato che per la maggior parte delle posizioni lavorative non era prevista retribuzione. Questione, quella del volontariato, a cui, nonostante le diverse promesse fatte da Expo riguardo la creazione di circa 70000 posti di lavoro (non mantenute), non si è riusciti a porre rimedio.
Nei contratti retribuiti stipulati, arrivati in prossimità dell’inaugurazione, vi è stabilito che il lavoratore rinuncerà per la durata dell’evento al diritto di sciopero e che si renderà disponibile per lavorare in qualunque giorno della settimana. I più attenti attivisti nel campo dei diritti dei lavoratori hanno visto in questo una sorta di sperimentazione di nuove forme di sfruttamento da applicare, in futuro, a tutto il mondo del lavoro. E’ per questo che, anche grazie alla subdola scelta di inaugurare Expo il 1 Maggio, c’è stato un naturale confluimento dei movimenti che organizzano la MayDay parade nella mobilitazione NoExpo. La MayDay parade è, da almeno 15 anni, un appuntamento fisso a Milano e parte del più generale appuntamento europeo del 1 Maggio. Ogni anno porta in piazza le realtà del mondo antagonista nel campo sindacale e ha visto nascere realtà come San Precario, che hanno contribuito a creare massa critica e attiva attorno alle riforme del mondo del lavoro, a partire dalla legge 30/2003 in poi.
Nel frattempo venivano aperti i cantieri (i lavori sono per lo più ancora in corso) per la realizzazione delle 15 grandi opere, prevalentemente strade, connesse ad Expo. L’ironica combinazione che ha voluto queste infrastrutture costruite tramite cementificazione di terreni agricoli e la constatazione che a vincere i bandi siano state le stesse aziende edili impiegate nei lavori relativi ad altri ecomostri, ha rinsaldato la comunione tra NoExpo e altri movimenti di opposizione alle grandi opere, NoTav in primis.
Le questione degli esorbitanti costi di realizzazione dell’opera, ottenuti contraendo un debito con le solite banche private ha probabilmente avvicinato ai NoExpo quanti si battono per un uso della spesa pubblica utile al sociale: il movimento per il diritto all’abitare, giusto per citarne uno, in questi anni in rapida ascesa a causa delle decine di sgomberi che ogni giorno lasciano famiglie insolventi senza dimora.
Nel frattempo la magistratura incominciava ad indagare riguardo la corruzione negli appalti, scoprendo segreti di pulcinella e contribuendo ad allargare il consenso popolare attorno al movimento, almeno in quella fetta di popolazione ancora moderatamente dotata di spirito critico e non totalmente succube della narrazione mediatica dominante.
Poi c’è stato il 1 Maggio di Milano. Ogni forma di lotta ha il suo apice. A questa data il movimento NoExpo è arrivato così, dopo 8 anni di battaglie e anche di vittorie. Pure nella sinteticità e fretta (ho ricostruito a memoria e non necessariamente in ordine cronologico) spero di aver reso un’idea della complessità della mobilitazione e della sua formazione.
Io credo che di questo dovremmo parlare. Di questo e delle prospettive future della lotta.
Riguardo gli scontri non voglio esprimere giudizio, anche perchè non c’ero e non tutto mi è chiaro. Per chi ha voglia di giocare al gioco del manifestante buono e di quello cattivo suggerisco la seguente raccolta di comunicati/articoli di movimento (in aggiornamento):
Dopo il corteo del 1 Maggio, riflettiamo per non cadere nella dicotomia tra “buoni o cattivi”.
Primo Maggio, su, coraggio – Una raccolta di contributi per il dibattito sulla #NoExpoMayDay2015
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/05/02/corteo-no-expo-troppa-visceralita-nelle-reazioni-ai-black-bloc-di-milano/1645822/
http://www.informa-azione.info/milano_1%C2%B0_maggio_no_expo_sempre_complici_e_solidali_comunicato_della_rete_evasioni
http://ilmanifesto.info/storia/cento-colpi-di-spugna-tra-roma-e-milano/
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Il mio pensiero è per Klodian Elezi, ragazzo albanese di 21 anni, morto mentre lavorava senza dispositivi di sicurezza in un cantiere correlato ad Expo, nella fretta di terminare in tempo i lavori.
In questi giorni, a seguito della sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, c’è un vociare ininterrotto su quello che è stato o non è stato il G8 di Genova 2001. Pochi ricordano il movimento che a quel G8 ha portato.
Nel 2001 si era in pieno fermento. C’era stato Seattle, c’era stato Porto Alegre e tutti avevano letto NoLogo. Il movimento No Global, o altermondialista, era un fenomeno forte, diffuso, consapevole e capillare. Dai licei fino alle punte più estreme dei professionisti e degli intellettuali si diffondevano idee ben precise di “un altro mondo possibile” da costruire.
Poi c’è stata Genova. Piazza Alimonda. La Diaz. Bolzaneto.
Per anni il movimento si è sfaldato. Diviso. Impaurito. Ognuno ha preso la sua strada. Ogni collettivo ha fatto la sua battaglia, cercando per lo più di non scomparire. Per riprendere il filo del discorso c’è voluto molto tempo e la crescente forza e determinazione dei movimenti contro le grandi opere, di lotta per la casa, per i diritti dei migranti… In larga parte, c’è voluta la crisi.
Scrivo questo articolo per mettere in chiaro un semplice concetto: a Genova c’è stata una responsabilità politica ben precisa, e parlare di Genova senza sottolinearlo è reazionario.
Ho letto una quantità di articoli disgustosi su Genova in questi giorni, ma quelli che mi hanno dato più fastidio non sono stati quelli palesemente fascisti dei paladini della polizia, ma quelli ipocriti e reazionari dei sedicenti democratici indignati con le “mele marce” della Diaz. Ho anche assistito ad una trasmissione televisiva in cui si condannava la vergogna degli avanzamenti di carriera dei responsabili di polizia all’epoca delle operazioni del G8, il tutto senza un accenno alla copertura che quelle azioni ha, quantomeno, permesso.
Io credo che questa sia ipocrisia.
Lungi da me difendere l’operato della polizia. La “macelleria messicana” non è definizione di noi compagni, ma che i poliziotti si siano comportanti in maniera schifosa è risaputo dal 22 Luglio 2001. Accusare adesso chi coordinò quelle azioni è, ripeto, ipocrita, e serve al sistema per un comodo scaricabarile, a distanza di 14 anni.
La Diaz e Bolzaneto, dove si è torturato senza pietà, sono stati atti premeditati della politica per mettere fine al movimento No Global e, in quanto tali, hanno avuto successo. Senza un’indagine sulle responsabilità politiche (italiane e non) non si va da nessuna parte, la ferità rimarrà aperta e gli intellettuali da prima serata non faranno altro che infettarla con discorsi devianti. Il problema della polizia italiana non consiste in “poche mele marce”: si tratta di una pianta velenosa in toto in quanto strumentale all’agire politico. Che poi la situazione sia aggravata dalla presenza al suo interno di fanatici della violenza è altro discorso.
Come buona pratica, termino col link di Supporto Legale: attraverso il sito si può donare per sostenere le spese legali di chi ha subito direttamente la repressione dello stato.
Come se in questi giorni non se ne fosse parlato abbastanza, voglio esprimere brevemente la mia visione, riguardo a quanto avvenuto nel giorno della finale di coppa italia tra Fiorentina e Napoli.
Premetto che consiglio, per la comprensione di quanto scriverò, ma anche in generale riguardo le questioni legate al mondo ultras, la lettura de Il derby del bambino morto di Valerio Marchi (2005).
Tutta la società civile e benpensante si dice scandalizzata dal fatto che ci sia solamente consultati con gli ultras del Napoli prima di cominciare la partita. Ebbene io credo che questa sia stata una delle poche cose sensate che sono avvenute quel giorno a Roma. E non lo dico in senso macchiavellico. Io credo veramente che sia stato opportuno e giusto.
Innanzi tutto non credo siano stati i tifosi a dare il nulla osta: la decisione con tutta probabilità è stata presa altrove e poi si è andati dagli ultras per comunicare con loro. Inoltre è incontestabile il fatto che questo semplice gesto abbia evitato disordini maggiori.
Ma non è solo questo. Il calcio è dei tifosi e, in quel momento particolare, nel caos di quelle poche ore, è impossibile sapere quale fosse lo stato d’animo di quelli che, in curva sud, venivano a sapere della notizia nei modi più vari. Coinvolgere perciò la curva del Napoli in quei momenti è stato giusto oltre che opportuno.
Sappiamo benissimo che a decidere se giocare o meno la partita sarebbero stati comunque gli sponsor e tutti i portatori di interesse attorno all’evento. Personalmente, non avrei fatto giocare. Ma se, dalla curva della tifoseria che aveva uno dei suoi all’ospedale, fosse veramente arrivato un ok, credo sia stato giusto giocare.
Vorrei chiudere ricordando che tutta la confusione mediatica attorno al personaggio del capo ultrà del Napoli, naturalmente, non è casuale: questa serve a coprire un fatto molto triste di cui evidentemente per media e tuttologi è spinoso trattare. Se è ormai sdoganato parlare di camorristi, tanto più se sotto forma di teppistelli da stadio, risultano invece ancora tabù certi argomenti politici.
Infatti si fa tanta confusione attorno al capo ultrà del Napoli che non ha commesso alcun reato, mentre poco si parla di colui che, qualche ora prima, ha sparato contro alcuni tifosi! Ebbene a premere il grilletto, e non per motivi strettamente legati al tifo, è stato un pregiudicato fascista, riconducibile ad un centro sociale di destra, occupato, all’epoca, col beneplacito dell’amministrazione cittadina.
Qua un link:
http://www.ecn.org/antifa/article/4350/roma–nessuno-che-dice-che-gli-spari-sono-partiti-da-una-occupazione-fascista