Scendere in piazza a manifestare può essere fatto in vari modi e ad ognuno di questi modi corrisponde una funzione (e un’idea) di quello che di solito chiamiamo “fare politica”.
Quando accanto ad un’idea che si vuol difendere o proporre si accosta una rivendicazione pratica e immediata si è, mi pare, più precisamente nel campo della politica. Quando invece si scende in piazza per manifestare un generico interesse o un altrettanto generico messaggio (pur se di buon senso) senza referenti ben precisi, senza proposte concrete, si sta facendo qualcos’altro. Il rischio, in questo secondo caso, è quello di creare dei momenti di unione civile (ad ogni modo auspicabili e benefici) che però siano in definitiva reazionari. Una volta lavate le coscienze non segue nessuna azione pratica. Ai responsabili dello stato delle cose fa anche comodo che si creino valvole di sfogo spontanee in grado di far sfogare la disapprovazione; considerato anche che una delle preoccupazioni della macchina nella costruzione del sistema è proprio la progettazione di tali valvole, funzionali allo status quo.
In pratica, un movimento che non crea conflitto fa parte del sistema stesso.
L’8 marzo, per la non-festa delle donne come ogni anno ci sono state varie iniziative, le quali, per l’appunto, possono essere inquadrate in maniera differente. Di chi ha deciso di vivere quell’iniziativa in maniera conflittuale ho già parlato qui.
Vorrei però spendere solo due parole per specificare che anche la questione della violenza sulle donne, come quella dell’aborto, sia una questione politica oltre che culturale. Lo credo perchè credo che educazione, cultura e società abbiano forte influenza sul problema, ma che la abbiano anche risorse economiche, classe sociale e condizionamenti diretti da parte della macchina. Ci si addentra in un percorso scivoloso in cui diventa difficile spesso distinguere cosa è “ambiente sociale” (delle relazioni, ad esempio) e cosa “condizionamento della macchina”. E però questa è un’operazione necessaria.
Rimane invece limpido il discorso riguardo i mezzi economici necessari alla completa indipendenza della persona vittima di violenza dal suo carnefice. Rimane limpida la questione di classe.
Quando sento parlare genericamente di “violenza sulle donne” (molto naif, chi mai potrebbe non dirsi contrario?) rispondo che questa è una delle tante battaglie volte a fare di tutt* esseri umani liberi e indipendenti, con una vita dignitosa, con casa, reddito e diritti.