Una recente disavventura personale al lavoro mi ha portato a contatto diretto con il mondo del sindacalismo italiano nel suo ruolo principe: la tutela del lavoratore.
La vicinanza alla lotta dei facchini della logistica bolognese (Granarolo, ecc…) mi aveva già fatto entrare in contatto con il lato malato del sistema sindacale. La dinamica con la quale molti lavoratori sono stati licenziati senza colpo ferire la dice lunga sulla condizione attuale del mondo del lavoro e sulla difficoltà per un lavoratore di trovare dignità. Il cappello calato sui lavoratori dai sindacati confederati rappresenta un peggioramento, se possibile, della situazione. Molte sono state, nei giorni di lotta dignitosa dei facchini, le denuncie di chi ha ricevuto promesse di mantenimento del posto in cambio di un tesseramento. Fatti portati, in almeno un’occasione, davanti al palazzo della CGIL. Se il recente Jobs Act non potrà far altro che peggiorare la condizione del lavoratore nel rapporto con il datore e nella possibilità di contrattazione, tanto più questo andrà a vantaggio dei sindacati confederali che accresceranno il loro potere.
Un esempio di come questi già da ora agiscano come braccio di partito è dimostrato, ad esempio, dalla lettera, firmata CGIL, ARCI e LIBERA, in cui si prendeveano le distanze dalla mobilitazione dei facchini, accorrendo così in adunata in aiuto a Legacoop, a sua volta inesauribile bacino di voti del Partito sedicente di sinistra.
Ma la mia, pur di per sè insignaficante, esperienza personale, mi ha fatto notare un altra sfaccettatura dello stesso stato di cose. Quello che segue, specifico, è relativo al caso particolare vissuto.
Durante le assemblee sindacali, a cui, nella mia azienda, erano presenti solo i tre sindacati fantoccio, ho notato che il potere di questi si definisce in una sorta di autoreferenzialità. I rappresentanti sindacali decidono le strategie e le modalità. I percorsi di conflittualità possibile e le proposte alterantive non hanno molte speranze di emergere. Ad ogni modo ogni azione viene incanalata in un percorso volto a portare all’attenzione del datore di lavoro, o comunque della controparte, la potenza del sindacato stesso e la sua organizzazione. Nessuna differenza di intenti traspare mai tra i tre diversi rappresentati dei tre sindacati. In ogni caso, la tendenza al cercare il meno possibile lo scontro e all’attesa prevale. Quando si delineano le unità lavorative che verranno eliminate vengono definite come merce di scambio nella contrattazione.
Questo delinea il sindacato come ente che lavora essenzialmente per sè stesso e per accrescere il suo potere in termimi di negoziazione con grandi realtà, ma quindi, sostanzialmente, di rappresentanza di un potere politico, sempre più a queste legato (vedi il caso PD-Legacoop-CGIL). Paradossalmente infatti, più il sindacato non rappresenta che sè stesso, più esso rappresenta qualcun’altro di più potente, un partito, ad esempio, o una grande corporazione.